
Rage Baiting: dai Maranza a tale Michelle | il Web Tossico che Premia l'Odio
Rage Bating come non si era quasi mai visto! In questi giorni non si è fatto altro che parlare dei Maranza (termine dispregiativo usato per definire i teppisti che popolano le periferie di alcune città del Nord Italia). Post provocatori, anche di uno pseudo pugile rumeno che dà delle scimmie ai calabresi. Fango su fango che infiamma i social.
Negli ultimi anni, il web ha assistito a un'esplosione di contenuti che fanno leva su provocazioni, insulti e reazioni rabbiose per guadagnare visibilità e monetizzazione. Il fenomeno dei maranza che ipoteticamente "invaderebbero" il Sud, Michelle (non indico il congnome per non darle visibilità) che invita i giovani a non studiare e le offese gratuite contro Napoli e i napoletani sono solo alcuni esempi di un trend pericoloso: il rage baiting, ovvero l'arte di provocare indignazione per generare engagement.
Il Rage Baiting e la Logica del Web Tossico
Per una questione di pudore evito evidenziare i post, i social premiano chi riesce a catalizzare l'attenzione. Purtroppo, il metodo più veloce ed efficace per farlo è scatenare rabbia, divisioni e odio (che dire del video dell'account di Trump poi...). Questo meccanismo si basa su un principio semplice: più un contenuto genera reazioni, più l'algoritmo lo spinge in evidenza. E cosa c'è di più efficace nel suscitare commenti, condivisioni e discussioni accese se non una dichiarazione provocatoria o offensiva?
Personaggi come Michelle Comi, con il suo invito implicito a "non studiare" e a vivere in modo superficiale, trovano terreno fertile in questa dinamica. Così come gli insulti ripetuti verso Napoli e il Sud Italia, che scatenano un'ondata di risposte indignate, trasformando i loro autori in fenomeni virali. Il punto centrale non è ciò che dicono, ma il modo in cui riescono a generare engagement a scapito di un discorso costruttivo.
Il Web che Premia l'Odio
Il problema non è solo nei contenuti tossici, ma nel sistema che li premia. Questo meccanismo non è nuovo: già su Facebook si è visto come post divisivi e polemici potessero attirare milioni di interazioni, alimentando polarizzazione e disinformazione. Ora, lo stesso schema si ripropone su TikTok, Instagram e YouTube, con creator che, consapevolmente o meno, sfruttano le reazioni negative come leva per costruire la propria notorietà.
Questi contenuti non solo abbassano il livello del dibattito online, ma hanno anche conseguenze concrete sulla società. Alimentano stereotipi, diffondono ignoranza e creano un clima di ostilità e intolleranza. Inoltre, distorcono la percezione del successo, facendo credere ai più giovani che il modo migliore per emergere sia provocare e suscitare rabbia, anziché produrre qualcosa di utile o significativo.
Per un Web Migliore: Penalizzare, non Premiare
Se vogliamo che il web migliori, dobbiamo smettere di premiare questi contenuti, per farlo vi consiglio vivamente di ignorarli totalmente. Le piattaforme social dovrebbero penalizzare i contenuti basati su rage baiting e disincentivare la viralità dell'odio. Gli utenti, da parte loro, possono fare la loro parte quindi, evitando di interagire con questi post e segnalando comportamenti tossici.
L'indignazione genera visibilità, ma ignorare e contrastare questi meccanismi può aiutare a spezzare il ciclo. Più che mai, è necessario promuovere un web che valorizzi contenuti costruttivi e formativi, invece di lasciare spazio a personaggi insulsi che guadagnano sulla divisione e sul disprezzo.
Il web è uno strumento fantastico. Sta a noi decidere se vogliamo usarlo per costruire o per distruggere.
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